Gli investitori stranierei premiano gli sforzi di riforma dell’Italia
L’indice di fiducia per gli investimenti esteri diretti in Italia (FDI) AT Kearney 2018 è al primo posto tra le prime dieci destinazioni di investimento. L’Italia è salita di tre posizioni rispetto alla classifica dello scorso anno, alcuni anni fa non era nemmeno inclusa nell’Indice.
L’investimento estero, nella sua definizione più ampia, è infatti salito in Italia: le multinazionali hanno investito in progetti green / brownfield (Audi a Modena, GE a Torino, Hitachi in Toscana / Sud Italia, Novartis vicino a Napoli); i fondi istituzionali sono tornati sui mercati azionari e obbligazionari italiani; i fondi alternativi stanno aumentando le attività in Italia.
Sul fronte immobiliare il 2017 è stato un anno record. Gli investimenti complessivi in commercial real estate hanno superato 11,3 miliardi di euro, in crescita del 18% rispetto al 2016, con gli investitori stranieri che hanno realizzato più del 50% delle transazioni. E, sebbene il primo trimestre 2018 sia in rallentamento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, il volume di investimenti (1,5 miliardi di euro) è superiore alla media a 5 e a 10 anni dei primi trimestri dell’anno.
Questo non è accaduto per caso. A partire da “Destinazione Italia”, un piano completo adottato nel 2013 per attirare investimenti esteri, i governi italiani hanno lavorato sodo per migliorare l’ambiente imprenditoriale del Paese. Un ambiente imprenditoriale migliore attrae investitori esteri e rappresenta una spinta per le aziende italiane: ciò che è positivo per gli investitori internazionali è positivo per gli imprenditori italiani.
Lo sforzo ha fatto parte di un programma di riforme strutturali che ha portato a una revisione del mercato del lavoro, a una riforma del settore bancario, alla modernizzazione del sistema di amministrazione fiscale e ad altre iniziative chiave. Tutte queste misure sono state implementate come parte di un quadro di politica fiscale che è in linea con le regole europee e gli impegni dell’Italia e ha consentito al governo di ridurre, anche se solo leggermente, le tasse, in particolare le imposte societarie, come il cuneo fiscale sul lavoro e l’aliquota dell’imposta sulle società passata dal 27,5 al 24%.
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